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«Avevo la volontà di descrivere l'orgasmo: quell'attimo dopo tu sei proiettato nell'infinito, sei tutto e non sei niente. Quel momento, puoi provarci cento volte, ma non riuscirai mai a descriverlo. Però se tu descrivi come una spirale tutto quello che c'è intorno, è come se ricostruissi il centro [...]. Così ho scritto Il cielo in una stanza: le pareti, la finestra, la musica da fuori, ed ho cercato di ricostruire il momento». (Gino Paoli) Giugno, 1960. Un ventiseienne Gino Paoli, non ancora iscritto alla Siae, propone su intuizione di Giulio Rapetti, più noto poi con il nome d'arte di Mogol, alle edizioni Ricordi, una canzone priva di inciso, costruita intorno al momento più alto di un atto d'amore, l'orgasmo, e ambientata in un bordello di Genova. Già rifiutato da Alfredo Rossi, delle edizioni musicali Ariston, che aveva invitato Paoli a cambiare mestiere, e da Jula De Palma e Miranda Martino, che non avevano voluto interpretarlo, Il cielo in una stanza arriva tra le braccia di Mina. Lei incide il brano e lo porta in vetta alle classifiche per ventisette settimane di seguito. Paoli dopo pochi mesi registrerà la sua versione. La storia si scrive in un tempo piccolo.